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lunedì 28 novembre 2016

"La capra e il macellaio"

Vi ricordate il post sui dati spaventosi riguardo i migranti, sul retro dell'autobus? Avevamo promesso qualche opinione a riguardo, per cui eccoci qui di nuovo.

Prima di tutto, quelle statistiche e quelle storie sono così terribili che qualcuno si potrebbe domandare come si faccia solo a pensare di provare, ma purtroppo non é così difficile capire chi lo fa: trovare un posto di lavoro vero é ancora qualcosa di irraggiungibile per la maggior parte delle classi più basse e l'immagine dell'occidente ricco é così attraente che é dura resistere alla tentazione; inoltre, gli esempi di chi ce l'ha fatta e può spedire soldi a casa o rifarsi una vita, anche se non facilmente, diventano argomenti assai validi, difficili da controbattere. 
Di sicuro é importante ricordare alla gente i pericoli del viaggio, perché l'informazione educa e l'ignoranza o le bugie vanno certamente combattute, ma abbiamo seri dubbi che una campagna del genere possa funzionare bene come deterrente: come avviene nel Mediterraneo, quando la gente non vede possibilità di un futuro o é soggetta, o a rischio, di violenza, si sente pronta ad affrontare qualsiasi pericolo, a prendere qualsiasi rischio, per provarci da un'altra parte - "una capra morta non teme il coltello del macellaio", come dice un proverbio di migranti (non ricordiamo di che origine, ma non cambia molto).
Secondo noi i numeri di quelli in fuga dalla violenza dal Centro America potrebbero essere esagerati, perché molti potrebbero usarla come scusa, sapendo che hanno più speranze se sono considerati rifugiati, ma la violenza delle bande é sicuramente un fattore determinante, visto che i paesi del triangulo del norte (Guatemala, Honduras, El Salvador) soffrono di livelli di attività di bande terribili, con tassi di morte per omicidio simili a quelli di paesi in guerra; il problema principale, però, é come sempre la situazione economica, essendo chiaramente la causa primaria del problema delle bande e la ragione per cui la gente arriva ad essere tanto disperata da voler rischiare qualsiasi cosa. La maggior parte della popolazione non si avvicina neanche al livello di povertà che abbiamo visto in Africa e non solo quelli che sono in condizioni tanto gravi come quelle sognano di andarsene, ma di nuovo é comprensibile, perché é difficile vedere come possano migliorare la loro vita qui e sono troppo vicini al mondo ricco, geograficamente e a livello mediatico,  per non subirne l'attrazione.
Quindi, quale può essere una risposta e cosa stiamo facendo noi qui per tutto ciò?
Insegnare inglese alle elementari può aiutare? Potrebbe, se volesse dire aumentare significativamente le possibilità dei ragazzi di ottenere un lavoro migliore, ma un risultato del genere necessiterebbe molto di più che aggiungere ore al programma: la loro istruzione nel suo complesso dovrebbe migliorare e soprattutto dovrebbero poi andare a scuole superiori dove insegnano inglese sul serio, non solo colori, animali e "uoziurnem" (What's your name?), per cui Mattia non si sente di aver fatto davvero molto per questo gran problema in quei mesi di lezione, anche se ha fatto del suo meglio per instillare il desiderio di apprendere e per dimostrare agli studenti che possono davvero imparare una lingua e non solo le solite 20 parole o frasette.
Insegnare inglese agli adulti, o a giovani, ha decisamente più senso, per cui siamo contenti che i nostri amici José&Marlene abbiano tenuto un corso di 5 settimane qui ad UPAVIM, un progetto piccolo ma valido, che speriamo possano continuare quando ritorneranno a gennaio (vanno a casa per il mese di dicembre). Le loro attività educative con i ragazzi più grandi del programma delle vacanze della biblioteca sono altri semi positivi, perché possono allargare gli orizzonti dei ragazzi e aiutarli a sviluppare pensiero critico.
Che altro potrebbe aiutare?
Rimanendo in ambito educativo, crediamo che la strada migliore sarebbe formare insegnanti (come Mattia avrebbe dovuto fare in Rwanda, ma ha potuto fare ben poco), ma qui non siamo nelle condizioni di fare niente del genere.
A parte l'educazione, un altro strumento fondamentale per scoraggiare l'emigrazione é rendere la vita in patria più appetibile, migliorando le condizioni. Non possiamo risistemare l'economia o creare posti di lavoro (anche se i "mobili di cartone" di Elena ci andrebbero vicino), ma programmi di salute generale, dentale e nutritiva, su cui Elena sta lavorando, sono decisamente molto importanti lo stesso, perché se i bambini crescono bene le loro vite saranno migliori e se i genitori vedono che c'é chi si prende cura dei loro figli hanno una visione migliore della vita loro stessi, per cui dev'essere orgogliosa di quello che ha fatto, anche se continua a sentire che non é stata messa nelle condizioni giuste per fare quanto potrebbe e soprattutto per organizzare le cose in modo che il suo lavoro abbia un impatto reale e a lungo termine.
Essendo la violenza un fattore così rilevante, combatterla e prevenirla sono altri sforzi lodevoli; il primo sembra fuori dalla nostra portata, in quanto richiederebbe azioni a livello più alto (polizia, governo...) o più ampio (l'intera comunità, ma non ne siamo parte tanto importante da poterla mobilitare), però per il secondo ci si può provare ed é quello che Mattia ha cercato di fare (partendo da lontano, che purtroppo non funziona molto se il progetto non é a lungo termine), inizialmente con qualche messaggio e attività in classe, ma soprattutto con il suo programma sportivo che va avanti da più di 4 mesi e che si é ben sviluppato nelle ultime 5 settimane, con la creazione di un buon gruppo di 8-12 giovani adolescenti per allenamenti di atletica 5 giorni la settimana e con ancora più bambini piccoli contentissimi di partecipare a un'oretta di avviamento allo sport. Recentemente ha aggiunto un'altra fase a questo progetto giovanile recuperando una reliquia dell'esperienza ruandese, cioè lezioni e/o partite di scacchi la mattina, seduti per terra, vicini al campo: niente di grosso, ma é incoraggiante vedere quanto piaccia ai ragazzi e quanto li aiuti a mettere in moto il cervello, che può voler dire molto per le loro vite.
Si potrebbe e si dovrebbe fare molto di più per queste problematiche così serie, ma stiamo facendo quel poco che possiamo e per fare di più avremmo bisogno di più sostegno da parte dell'organizzazione, o meglio dovremmo lavorare per un'organizzazione dedicata a questi problemi, mentre le priorità di UPAVIM sono altre, il che spiega perché abbiamo svariati problemi, ma di questo scriveremo un'altra volta.

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